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In Evidenzia - Curiosità - Dal patibolo di Ciro Menotti all'Accademia di Modena | |||||||||||
Dal patibolo di Ciro Menotti all'Academia di Modena
Modena ricorda i suoi Martiri. Su interessamento dell’on. Mauro Manfredini, il Consiglio Comunale di Modena “al fine di onorare un uomo che è stato selvaggiamente trucidato per i suoi ideali di libertà”, ha impegnato la Giunta a dare dignità al patibolo sul quale furono impiccati, all’alba del 26 maggio 1831, Ciro Menotti e Vincenzo Borelli per ordine dell’ambizioso Duca Francesco IV d’Este, Duca di Modena, Reggio, Mirandola, Massa e Carrara, Arciduca Il 20 ottobre 2007 a Modena in piazza 1° Maggio, alla presenza del sindaco Giorgio Pighi, si è svolta la cerimonia ufficiale per l’inaugurazione del monumento, restaurato dallo scultore Carlo Cremaschi. Da quel cippo scoccò la scintilla che avrebbe portato all’Unità d’Italia. Ciro Menotti, dopo un processo sommario, a carattere puramente formale, fu accusato di lesa maestà per essere stato il promotore di un’Italia indipendente, unita e libera, per la quale auspicava come capitale Roma, “quella Roma che non ebbe eguali e che non l’avrà mai nell’opinione dei presenti e dei posteri”, da attuarsi con l’aiuto del Comitato Cosmopolita che da Parigi doveva dirigere il rivolgimento di carattere popolare e che lo stesso Duca sovvenzionò, dando origine a quella che fu chiamata la ”congiura estense”. I moti del 1831 erano stati organizzati a livello sia nazionale, sia internazionale e il Duca vi partecipava da assente finché la mutata situazione francese e il rumore austriaco non lo indussero a rinunciare alle sue aspirazioni di espansione territoriale e a rinnegare il patto di reciproco aiuto stretto con Ciro Menotti:“questi non avrebbe mai attentato alla vita del Duca e della sua famiglia, quegli assicurava al Menotti che in ogni evento avrebbe salva la vita”. La notte del 3 febbraio Francesco IV fece tuonare il cannone contro i congiurati riunitisi in Corso Canalgrande nella casa del Menotti che, catturato, fu condotto nelle carceri della Cittadella in attesa del boia. Al divampare della rivolta a Parma, a Ferrara, a Bologna, nelle Marche, nell’Umbria, il Duca abbandonò Modena dirigendosi verso Mantova portando con sé Menotti prigioniero, ora visto non più come minaccia ma come ostaggio. Così scriveva il Mazzini “…ogni uomo a quei giorni - tranne chi reggeva - sentiva profondamente che si trattava d’una causa italiana, non bolognese o modenese; ogni uomo - tranne quei del governo - sentiva ch’era venuto tempo per gli Italiani di manifestare alla nazione e all’Europa, con qualche atto solenne, il loro concetto, il principio che li guidava, la intenzione in che s’erano mossi - del resto non curavano. Quel primo momento di rivoluzione, di manifestazione generosa è sì bello, bello di sacrificio individuale, di speranza infinita e di audacia titanica, che può scontrarsi colla morte in campo o sul palco; né gli insorti pensavano allora doverlo, per inerzia di pochi, scontar col ludibrio..”. Dopo la battaglia di Rimini e la capitolazione di Ancona, che segnò la fine dei moti rivoluzionari del 1831, il Duca non indugiò più a condannare a morte Ciro Menotti, artefice non di congiure e richieste costituzionali, ma sostenitore di una politica italiana di indipendenza, unione e libertà. Francesco IV, per paura di essere coinvlto personalmente e ritenendo politicamente pericolosa la singolarità di un’unica esecuzione, scelse a compagno di martirio Vincenzo Borelli reo di aver rogato, dopo la fuga del Duca a Mantova, l’atto di decadenza della dinastia degli Estensi, come richiestogli da 72 cittadini modenesi che nominarono un Governo Provvisorio con a capo Biagio Nardi. Modena fu il primo territorio sul quale sventolò il Tricolore di un’Italia indipendente e libera dalla dominazione dello straniero, anche se solo per la durata di un mese. Il martirio di Ciro Menotti, organizzatore dalle Alpi all’Etna di un “moto di popolo con re da effettuarsisenza ira ed offesa” e che doveva riscattare l’Italia a Nazione, non fu vano per la causa italiana perché avrebbe affratellato al di sopra di egoismi regionali e di gelosie municipali Italiani di ogni parte e di ogni dove. Anche Giuseppe Garibaldi, se pur profugo nelle lontane Americhe, che seguiva con viva apprensione gli avvenimenti italiani, riconobbe nel Menotti il simbolo della libertà e in quanto tale diede il nome Menotti al suo primogenito. Se il cronista Sossai scrisse, alla data del 26 maggio 1831: “Dalle ore 6,30 alle 7,30 sul bastione davanti alla destra della Cittadella vengono tratti a morte primo il Dottor Vincenzo Borelli, poscia in altra forca vicina Ciro Menotti…”, certo è che il supplizio durò lento e atroce e al Menotti si negò l’uffizio del tirapiedi; da qui traspare la crudeltà del Duca e la rabbia per una speranza sfumata e rinnegata. Le ultime parole del Menotti furono “La delusione che mi conduce a morire farà aborrire agli Italiani ogni ingerenza straniera nei loro interessi, e li avvertirà a non fidarsi che nel soccorso del loro braccio… Io muoio innocente; non ho immaginato mai di uccidere il Duca: gli ho salvato anzi due volte la vita. Non me ne pento: perdono a colui che mi assassina e prego che il mio sangue non cada su di lui e su i suoi figli”. La notizia del legale assassinio (il Presidente del Tribunale Pier Ercole Zerbini non parla di esecuzione di sentenza ma di esecuzione di un ordine) percorse duramente l’Italia. Il Decreto di condanna alla “pena di morte infame sulla forca e… confisca dei beni tutti ad esso spettanti”
fu firmato dal Duca Francesco IV d’Este nel salottino d’oro del Palazzo Ducale . Fu nominato Governatore dell’Emilia Luigi Carlo Farini che, considerata la necessità di ordinare le milizie contro i nemici esterni ed interni, pensò di ripristinare la vecchia Scuola dei Pionieri, già istituita da Napoleone e poi soppressa da Francesco IV e che ebbe come allievo il quindicenne Ciro Menotti. Fu, pertanto, nominata una Commissione, presieduta dal fisico cav. Stefano Marianini, al fine di studiare la trasformazione del Palazzo Ducale in Accademia Militare. Fece parte di detta Commissione Achille Menotti, il figlio primogenito di Ciro, che, il 9 agosto 1859, presentò al Farini il lavoro compiuto con questa sua relazione accompagnatoria:
Pubblicato sul periodico "Il Nastro Azzurro" |
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