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La Galleria di Bretto (nel quadro della disfatta di Caporetto)

 

Il 24 ottobre ricorre il 90° anniversario della battaglia di Caporetto. La particolare ricorrenza non è sfuggita ai media che, numerosi, hanno ricordato l’avvenimento.

Fra i primi l’UNUCI che, nel numero 7/8 2007, ha pubblicato un pregevole articolo descrivendo fatti ed evidenziando errori e responsabilità, secondo quanto riportato nei testi ufficiali di storia.

Nell’articolo viene fatto notare che, benché il Servizio Informazioni (SI) della 2° Armata avesse avuto notizia di quanto stava per accadere (4 giorni prima un ufficiale disertore cecoslovacco aveva consegnato il piano particolareggiato dell’imminente attacco austro tedesco tra Plezzo e Tolmino, nella valle dell’Isonzo), i Comandi italiani non fecero assolutamente nulla per correre ai ripari, in quanto le informazioni fornite dall’ufficiale disertore furono considerate niente più che un’azione di inganno.

In effetti, per considerare veritiere le informazioni fornite dall’ufficiale cecoslovacco, si sarebbe dovuto osservare un consistente movimento di uomini e mezzi verso Plezzo e Tolmino; ma nulla era stato osservato sulle strade che  portavano a tali località 1.

In particolare a Plezzo, nell’alto Isonzo, si poteva arrivare superando le Alpi Giulie attraverso i passi di Moistrocca e del Predil.

Il primo a q. 1612 m., era servito da una strada difficile, lunga, tortuosa e di scarsa potenzialità; il secondo, molto più basso a q. 1156, era percorso da una strada più breve e più agevole.

Ma questa strada poteva essere utilizzata solo di notte perché era battuta dalle artiglierie pesanti italiane di Sella Nevea, a q. 1190 m, che, oltretutto, l’avevano ridotta in pessime condizioni.

Al riguardo il Cap. Alfred Witman, comandante della guarnigione di Raibl, così si era espresso: “es ist von grosses viechtigkeit, dass dieser Stollen besthat” (questa galleria è estremamente importante, visto che le artiglierie hanno distrutto la strada).

Egli si riferiva alla galleria di Bretto, scavata qualche anno prima per drenare le acque della miniera di Raibl, accessibile dalla Valle di Rio del Lago, nel Tarvisiano, praticamente ai piedi della salita al Passo del Predil.

Utilizzata già 800 anni prima dell’era cristiana, Raibl era diventata in epoca moderna la più grande miniera di piombo e zinco della catena alpina.

Nel 1905  era cresciuta a tal punto che le pompe disponibili all’epoca non riuscivano ad estrarre tutta l’acqua, che trasudava abbondantemente dalla roccia (il tarvisiano è una delle zone più piovose d’Italia) e allagava le parti più basse della miniera. Perciò fu scavata una galleria per convogliare queste acque in una valle laterale.

Essa forava la catena delle Giulie, proprio sotto il Passo del Predil, e dopo un percorso di 4844 metri sbucava nei pressi di Bretto (da cui prese il nome), nell’alta valle dell’Isonzo, 11 km a monte di Plezzo.

1 Va comunque detto che lo Stato Maggiore Austriaco ce la mise tutta per tenere segreto, il più possibile, l’afflusso sul fronte Plezzo-Tolmino di nuove truppe di rinforzo (in particolare le divisioni tedesche).

Ad esempio ai genieri del battagliuone tedesco (incaricato di attaccare con i gas nel settore di Plezzo) fu fatto indossare il caratteristico fez rosso per confonderli con i militari bosniaci che già operavano in quel settore.

Inizialmente la galleria aveva una sezione sufficiente a smaltire un flusso di 200-300 litri d’acqua al secondo, ma qualche anno dopo, su indicazione dello Stato Maggiore austriaco, fu allargata in gran segreto fino a 2,20 m di larghezza per 3,20 m. di altezza e fu attrezzata con trenini elettrici (capaci di trainare fino a 14 vagoncini) per il trasporto di uomini e materiali.

Così trasformata, anche se raramente se ne parla, la galleria si rivelò di enorme importanza strategica e fu utilizzata dal Gen. Otto Von Bulov per alimentare il fronte dell’Isonzo senza passare dalla pericolosa e più lunga (12 km) strada del Predil. Dai registri della miniera, compilati con teutonica precisione, risultano transitati in direzione del fronte:

– 1915: 32.120 soldati, con 600 trenini e 5.940 vagoncini;
– 1916: 144.755 soldati, con 10.939 trenini e 107.223 vagoncini;
– 1917: 270.015 soldati, con 21946 trenini e 286.994 vagoncini,

per un totale di 446.890 soldati, che diventano oltre 600.000 se si conteggiano quelli che passarono nella galleria in senso inverso.

Nello stesso periodo furono trasportate al fronte 240.094 tonnellate di materiali.

Dai dati riportati risulta abbastanza evidente che la via di comunicazione più importante, utilizzata dagli austriaci per giungere nella valle dell’Isonzo, fu quella della galleria di Bretto.  

Risulta anche abbastanza improbabile, se non addirittura impossibile, che lo Stato Maggiore italiano ignorasse l’esistenza di questa comoda via.

D’altra parte, poiché le decisioni prese furono quelle che si sarebbero prese se la galleria non fosse mai esistita, le ipotesi da fare sono due:

– o il Comando italiano davvero non sapeva nulla di Bretto, ed allora si deve ammettere che il SI della 2° Armata fosse del tutto inefficiente;
– oppure ne conosceva l’esistenza e, in questo caso, solo degli incoscienti avrebbero potuto decidere di non prendere
alcuna precauzione.

Quale che sia l’ipotesi giusta, sta il fatto che, non solo non fu presa alcuna contromisura, ma addirittura al momento dell’attacco (iniziato puntualmente all’ora indicata dall’ufficiale cecoslovacco: le 02,00 del 24 ottobre), alcuni Comandanti non erano neppure al loro posto (il Gen. Luigi Capello, Comandante della 2° Armata, era in licenza per malattia; il Gen. Pietro Badoglio, Comandante del 27° Corpo d’Armata, schierato proprio nel settore isontino investito dall’attacco austro tedesco, anziché al suo posto comando di Ostrikras, si trovava a Cosi nelle retrovie.

Se ognuno fosse stato al suo posto, la situazione si sarebbe potuta salvare facilmente prendendo le decisioni giuste al momento giusto. Ma spesso gli ordini furono dati in ritardo e fu questo un altro motivo dell’immane disfatta.

L’ Italia perse in pochi giorni un gran numero di uomini, di armi e territori, e avrebbe potuto perdere anche la guerra, se non fossero intervenuti:

– Armando Diaz, un generale napoletano quasi sconosciuto, che sostituì il Gen. Cadorna, esonerato dal Re d’Italia;
– i “Ragazzi del ’99”, inviati in tutta fretta a dar manforte ai veterani provati, oltre ogni umana sopportazione, da lunghi anni nel fango delle trincee, e demoralizzati dalla disastrosa ritirata;
– il Piave, fiume sacro alla Patria, le cui acque, di solito calme e placide, si gonfiarono minacciose all’avvicinarsi del nemico.

L’ordine di trincerarsi dietro il Piave fu dato il 4 novembre 1917: esattamente un anno dopo (il 4 novembre 1918) la situazione si era completamente capovolta e la vittoria arrideva ai Soldati d’Italia.

La millenaria miniera di Raibl, ribattezzata nel 1918 Cave del Predil, riprese la produzione di prima, ma sotto la crescente concorrenza di altri paesi che producevano piombo e zinco a prezzi stracciati, chiuse i battenti il 30 giugno 1991.

Li ha riaperti questo anno a scopi turistici e le guide mostrano come e in quali condizioni si lavorava in quei cunicoli freddi e bui, dove i muli addetti al traino dei vagoncini diventavano ciechi in poco tempo e, quando si arriva alla galleria di Bretto, fanno notare che il I° Ten. Erwin Rommel, la futura “volpe del deserto”, che in quel fatidico 24 ottobre, al comando di pochi uomini, conquistò la posizione chiave del Matajur di 1641 m. (5 km a SE di Caporetto) facendo 2000 prigionieri, forse non sarebbe riuscito in quella epica impresa se all’alba di quel giorno, invece di giungere comodamente in treno a Bretto, avesse dovuto risalire e discendere a piedi anche il passo del Predil.

Gen. Giuseppe Dr. Picca

Il Gen. Giuseppe Picca, Presidente della Federazione di Bari, è stato recentemente nel Tarvisiano ed ha visitato le località citate nell’articolo. I giudizi formulati nel testo sono il risultato delle sue personali valutazioni.

 

 

Pubblicato sul periodico "Il Nastro Azzurro"

 

 

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