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In Evidenzia - Curiosità - Gaetano Magnani | |||||||||||||
Gaetano Magnani
GAETANO MAGNANI vide la luce nella vetusta villa di famiglia, posta sotto la chiesetta di Santa Maria a Pulicciano, presso l’abitato di Ronta, il 16 agosto 1873, da Gaetano, esponente di una antica casata del luogo e da Giuseppina Dallai. Il bambino, fin dalla più tenera età, per agevolare nell’asse ereditaria il fratello maggiore, fu educato in prospettiva di una futura carriera militare. Gaetano, ragazzo educato e sveglio pur essendo un ottimo cavallerizzo, dopo gli studi regolari sostenuti nell’allora celebre collegio fiorentino della Querce, si arruolò in fanteria. Dopo un periodo di addestramento militare, con il grado di Capitano, assieme ai suoi commilitoni si imbarcò per la Libia, dove prese parte a molte operazioni militari come Aiutante di Campo della Brigata delle truppe dell’altipiano di Tripoli comandate prima dal generale Salazar, poi dal Fara. Partecipò alla sanguinosa battaglia di Zanzur del venti settembre 1912, e a tutte quelle del Garian per poi giungere ad occupare Misda. Il Messaggero del Mugello, giornale locale, in quegli anni, riportò nei suoi articoletti le gesta di questo aitante soldato rontese. I suoi ritorni in paese, vennero così descritti con entusiasmo oltre che con dovizia di particolari: “Dopo quattordici mesi di permanenza in Libia, martedì sera con l’ultimo treno ritornava tra noi l’egregio Capitano Magnani. La popolazione rontese improvvisò al valoroso reduce un’imponente ed entusiastica dimostrazione. Erano ad attenderlo tutti alla stazione ferroviaria, dove formatosi un lungo ed imponente corteo fu fatto il giro del paese, dove frattanto si era improvvisata una bellissima illuminazione a rificolone ed archi trionfali. Durante il tragitto si gridava entusiasticamente : Evviva il nostro compaesano! Viva l’Esercito!![…]”. Gli anni passarono, e scoppiò la Prima Guerra Mondiale. Il Magnani, dopo una parentesi in Albania venne richiamato su un altro fronte, quello della Valsugana, dove essendo Aiutante di Campo della Brigata Venezia, all’inizio del gennaio 1915, venne promosso Maggiore, a comandare un battaglione del 213’ fanteria. La guerra, tremenda e tragica iniziò il suo corso. I diversi eserciti si fronteggiavano sulle alture innevate, assistendo impotenti allo scorrere delle stagioni. Le notizie alla famiglia, affidate alle rettangolari e colorate cartoline postali, ci rappresentano un Gaetano, che con la speranza che il conflitto si risolvesse nel minor tempo possibile, comandava con scrupolo e lealtà i suoi soldati, uomini e ragazzi che considerava prima di tutto amici. Iniziò anche l’estate e Il 27 giugno del 1916, quando gli austriaci nel corso della loro Strafe-Expedition, dal Trentino vollero sfondare le linee italiane, presso le alture del monte Rasta, il Maggiore Magnani, alla testa dei suoi uomini era li, e per ben due volte respinse alla baionetta un battaglione nemico, fin quando, colpito due volte da una pallottola austriaca, cadde a terra dove dopo essere stato accerchiato da numerosi soldati nemici, venne fatto prigioniero. I suoi soldati, pur lottando con valore per liberare il proprio comandante, non riuscirono nell’impresa. Da quel 27 giugno, si persero le tracce del Magnani, fin quando il 26 luglio un telegramma dalle poche righe, recapitato ai suoi fratelli a Ronta, affermava che essendosi ristabilito dalle ferite si trovava al momento in un campo di prigionia ad Erustadt (Austria). Pochi giorni dopo, Gaetano, venne internato in un altro luogo, a Mauthausen. Il toscano, rimase in stato di prigionia degli anni, fin quando, oppresso dalla reclusione, per seri problemi fisici, ottenne di essere compreso in uno scambio di prigionieri, lasciando così il 16 aprile 1918 il campo di concentramento. Da questo momento, le notizie, le informazioni sul militare rontese, divengono frammentarie, un alone di mistero offusca la realtà. Il Magnani dopo aver lasciato il campo austriaco, convinto di poter essere utile, soprattutto in questo frangente alla sua nazione, riuscì, non si sa come, a sottrarre al Comando austriaco, numerosi e compromettenti documenti segreti, che avrebbero potuto, una volta arrivati in Italia, rendere pubbliche delle palesi violazioni da parte dell’esercito nemico, dei trattati sul trattamento dei prigionieri italiani. Il Magnani, dopo aver nascosto bene le carte, riuscì a passare indenne numerosi controlli, fin quando, forse tradito da qualche compagno o dalla stanchezza, venne improvvisamente fermato al confine. Gaetano Magnani era riuscito a superare indenne gli ultimi controlli eseguiti sui prigionieri prima dello scambio ad Innsbruck, grazie ad un fortunoso problema nella trasmissione degli ordini tra i reparti austriaci. Inspiegabilmente il diciotto aprile, alle tre e trenta, quando il nostro coraggioso connazionale già pensava di poter entro poco essere riconsegnato alla sua terra, alla stazione di Dorbinir, improvvisamente e senza un apparente motivo venne accerchiato da funzionari militari austriaci e fatto salire in tutta fretta in una automobile che era pronta per riceverlo. Il Comando austriaco, dopo poco, inviò una circolare a quello italiano dove si sosteneva che il Magnani era morto per suicidio. Qui il racconto di mio nonno si interrompeva nonostante le mie ripetute domande. Gli occhi un po’ lucidi di quell’anziano signore, volevano cambiar discorso non riuscendo a dare risposte alle mie insistenti interrogazioni, non ritenendo veritiere le notizie che a suo tempo avevano dato gli austriaci, quando lui era bambino. Cosa portava di così importante il soldato italiano per essere ricercato dal Comando dell’esercito austriaco? Quali verità nascoste aveva conosceva? Non si saprà mai, del Maggiore Gaetano Magnani, dopo essere stato fatto salire con forza in macchina, non si sa più niente, se non il fatto che due giorni dopo, un altro laconico telegramma annunciava la sua morte. Le carte che ho ritrovato davano qualche informazione, e dopo altre ricerche è emerso questo..ma cerchiamo di ricostruire gli ultimi attimi di vita del Maggiore toscano, per almeno cercare di capire cosa può essere successo, e soprattutto quanto sia stata manipolata la storia. Come risulta dalla lettera numero 15618 F. del comitato della Croce Rossa per i prigionieri di guerra datata Vienna 28 giugno 1918 e indirizzata al senatore Frascara, nei confronti di Gaetano era stato spiccato un ordine di arresto subito dopo la partenza dal campo di Mauthausen : “Su richiesta del Comando dell’Esercito, l’Ufficiale in parola è stato però trattenuto. Il generale Comandante il Corpo di Armata di Innsbruck ricevette telegraficamente a proposito gli ordini necessari.[…] Fu trasportato in automobile al posto di controllo alla frontiera di Feldkirch; alla visita personale furono scoperti sul prigioniero diversi documenti che egli era riuscito a dissimulare alla revisione praticatagli al campo di Mauthausen dagli incaricati della visita dei prigionieri che rimpatriavano. Questi documenti contenevano delle informazioni d’indole militare, che mostravano nettamente che il Magnani voleva rendersi utile al servizio di spionaggio italiano. ” Secondo documenti riservati, dell’Comando austriaco, il Magnani, venne fermato alla stazione ferroviaria di Dornbirn dove venne perquisito, trovato in possesso di documenti riservati, questo lo sapevamo, e alloggiato, sotto la sorveglianza visiva di un soldato anche durante la notte, nell’ hotel Baren, nella stessa cittadina. Il giorno 20, Gaetano Magnani, a quanto risulta dal suddetto documento, chiese ai carcerieri la possibilità di andare a fare una passeggiata per prendere un po’ d’aria, permesso, che a quanto sostiene il portavoce del Comando austriaco venne immediatamente accordato. Al suo ritorno, dopo aver detto di essere molto stanco, dicono (sempre i funzionari austriaci) venne rinvenuto dalla sentinella morto nel letto della pensione, per suicidio causato da una lametta. Questo è falso! come può essere possibile che ad un prigioniero di tale rilievo fosse concesso di uscire scortato da una sola sentinella per la strada della cittadina? Come avrebbe fatto il Magnani a togliersi la vita davanti ad un soldato che doveva controllarlo giorno e notte? E soprattutto come sarebbe stato possibile che gli fosse concesso di tenere una arma in camera? Il Magnani, a detta di chi era con lui in prigionia, disponeva solamente di un rasoio di sicurezza per radersi la barba, oggetto impossibile da usare, anche se avesse voluto, contro la sua persona. Il vecchio scatolone di cantina, che ho trovato aveva al suo interno, in un doppio fondo, un dossier redatto a mo di pro-memoria al fine di intentare una causa giuridica contro il Comando di Innsbruck, composto alla fine del 1918, dalla famiglia con l’ausilio di ufficiali dell’esercito italiano . In questi documenti sono annotate le varie testimonianze che fecero da cornice a questa tragica avventura, sia prima che dopo la prigionia. Il Tenente Pio Tosini, 213’ Reggimento, sostiene che il Maggiore Magnani, con il quale prese parte ai combattimenti sul monte Rasta, che “Gaetano Magnani, finita l’azione e condotti a riposo i suoi soldati, tornò spontaneamente ad un nuovo assalto e, rimasto ferito, segiutò a combattere disprezzando ogni cura, finchè, accerchiato rimase in mano al nemico”. Confermano questo anche i rapporti del soldato Italo Tagliaferri, del Maggiore Gemma, del Capitano Riva e del Colonnello Lambert del 213’. Solamente l’attendente Gaetano Santini aggiunge che : “Quando il Magnani venne ferito ad una mano e mi pare la destra, lo volevano medicare ma lui non volle,non volle neppure andarsi a fasciarsi, dopo continuando il combattimento, pare che sia stato ferito una seconda volta , ma di questo nessuno può dire nulla. Non essendo stato ritrovato è certo che fu fatto prigioniero. ”Il soldato Siro Abbarchi aggiunge: “ Ricevei la lettera in cui mi davi la notizia del Sig. Magg. Magnani; ti puoi immaginare il mio dispiacere. Essendo il battaglione dell’213° accanto a me e conoscendo molto bene gli ufficiali, detti tale notizia a tutti e Ufficiali e soldati rimasero annichiliti, dato che il Sig. Magg. Magnani era molto amato e stimato.”
La corrispondenza alla famiglia, in quei frangenti è tenuta dal Magnani con dignità, non soffermandosi mai su aspetti personali, ma interessandosi solamente delle vicende italiane. Alla richiesta del suddetto Colonnello di poter comunicare con il Maggiore, venne contrapposto un perentorio rifiuto. Il Pierozzi, aggiunge che: “Le autorità austriache non notificarono subito la morte di Gaetano Magnani, ma la tennero inizialmente nascosta”. Il Maggiore Sciocchetti, in una sua lettera sostiene, come del resto fa il Tenente Colonnello Rusconi che il Magnani, prima dell’arresto: “Era in possesso di documenti importantissimi consegnateli da un superiore”. Emblematiche in proposito sono le parole del Colonnello Rimini dell’84° Regg. Fanteria che testimoniano come durante la lunga prigionia il Magg. Magnani: “Tenne sempre contegno dignitoso, forte e patriottico. Quando passai da Mauthausem per il rimpatrio, sentì dire che il Magg. Magnani era stato trovato in possesso di carte importantissime, fra le quali alcune di Cesare Battisti e di fotografie e documenti riguardanti un ammutinamento di soldati italiani avvenuto in un campo di concentramento, in Austria, ove un Ufficiale austriaco avrebbe ucciso un Ufficiale italiano. Il Magnani , trovato in possesso di questi documenti, si rifiutò di consegnarli, sfidando le conseguenze del suo rifiuto. Sentì dire che il ritrovamento delle dette carte fu dovuto ad un atto di spionaggio di due Capitani”. Che fosse stato un atto di spionaggio, a tradire il Magnani, fu confermato anche da un rapporto della Croce Rossa. A confermare la confusione messa in giro soldati austriaci intorno alla morte di Gaetano ci sono le parole del Tenente Mattioli, di Firenze, riformato per malattia agli occhi, questo fatto è importante sottolinearlo, che dice di aver letto sopra una lavagna, affissa sulla caserma di Dornbirn : “MAGG. GAETANO MAGNANI – MORTO PER MALATTIA.” Ma che cosa era successo veramente fra il momento della partenza da Mauthausen, dopo la visita e il momento in cui il valoroso rontese morì? Ce lo spiega il Tenente pistoiese Berchielli, che dopo essere rimpatriato nel 1918, racconta che dei soldati austriaci compresi degli Ufficiali parlando tra di loro sicuri di non essere capiti dissero che: “ Il Maggiore, trovato in possesso di documenti, fu arrestato e in automobile condotto al Comando austriaco di frontiera, a Feldkirck. Durante il tragitto, egli tentò di fuggire, gettandosi dall’auto. Gli fu tirato addosso e ucciso”. La Croce Rossa svizzera, certificò che il corpo del defunto venne trasportato in tutta fretta, senza le autopsie del caso nel cimitero di Feldrkirch, dove venne sepolto, e la sua tomba venne identificata con una targhetta di riconoscimento. Restano di lui un quadro con la motivazione della medaglia d’argento al valore, qualche fotografia consunta dal tempo e una nuova storia da raccontare ai nipoti.. sperando che tra ottant’anni non sia dimenticata. Ma in questo caso confido che da un polveroso scatolone, ai piedi di una buia scala, un giorno qualunque un giovane si metterà a sedere leggiendo le gesta di queste memorie lontane.
Articolo pubblicato grazie al dott. Pier Tommaso Messeri. Spesso i romanzi e il cinema, cercano di enfatizzare certe storie, allo scopo di creare suspense, così da avere sempre maggiori soglie di gradimento. Questo, inevitabilmente porta, ad una banalizzazione dei fatti, e fa perdere il senso delle varie verità, che sono parte portante dello svolgersi degli avvenimenti. Siamo nell’era della grande comunicazione, si pensa di poter reperire informazioni su tutto e tutti, e la digitazione di un semplice clic sulla tastiera, ci illude di essere in grado di poter amministrare il nostro sapere. Si pensa di saper tutto fin quando inaspettatamente, per esempio durante uno di quei qualsiasi traslochi che il tran tram moderno ci sta abituando, saltano agli occhi delle vecchie carte, corrose e sgualcite, solcate da una scrittura non ferma, che colpendo la nostra attenzione, ci fanno appoggiare il non maneggevole scatolone di cartone, per riprenderci un attimo il nostro tempo, riposandoci su di quei vecchi scalini di una scalinata buia. Mi è capitato, come sarà capitato a tutti, di vedere in una stanza, appesi alle pareti o nascoste dentro un cassetto quelle vecchie fotografie di nonni in divisa, con a calce la data 1915-18, che da dietro i vezzosi baffi si mostravano dal fronte, alla famiglia . Certo, la prima Guerra Mondiale è un argomento importante per la nostra Storia, non solo perché con essa si chiudono le vicende legate alla nostra Unità nazionale, ma anche perché, io penso, chiunque ha avuto un parente, anche se lontano, che ha preso parte a quel conflitto, e questo la rende più vicina a noi. E sebbene io sia della generazione di inizio anni ottanta, anche io da bambino ho cantato sulle ginocchia di qualche vecchio zio la famosa canzone “La leggenda del Piave”. Ogni centro urbanizzato italiano, ha tra i suoi monumenti un ricordo ai caduti di quel conflitto . In casa, man mano che si avvicendano le generazioni, le piccole o grandi storie tramandate in famiglia, ritengo sia una cosa comune, si perdono, come si possono perdere gli occhiali o un ombrello, con la sola differenza che lo smarrimento di quest’ultimi oggetti, peraltro facilmente sostituibili, ci impegna in una ricerca affannosa, prima di lasciar perdere, mentre quello che ci siamo sentiti raccontare dai “vecchi nonni”, magari venti anni or sono, quando piccoli e insofferenti a causa della febbre eravamo dalla mamma obbligati a stare inchiodati a letto.. non si vuole durare la fatica di ricordare. Mio nonno, per esempio, era molto fiero di raccontarmi di un suo zio, il quale partecipò alla Grande Guerra, venendo decorato con medaglia d’argento al valore durante un assalto alla baionetta. Le sue parole spesso cambiavano tono a seconda della descrizione del frangente della battaglia, commuovendosi sempre alla fine della narrazione. Mio nonno, doveva essere molto affezionato a quel suo zio, il quale non tornò mai più a casa dal fronte, lasciando la famiglia lontana nell’incertezza di sapere come e dove era morto. In questo periodo, essendo intimorito da ciò che continuamente leggo dai giornali o vedo in televisione, mi faccio molte domande sul mio futuro e spesso mi chiedo che senso possano avere al giorno d’oggi certi esempi del passato. La mente allora cerca tra le varie storie che ho incamerato nella crescita, rendendomi conto di non trovare mai una soluzione. Questo fin quando pochi mesi fa, in una umida cantina, senza neanche accorgermene, ho ritrovato alcuni documenti, riguardanti un uomo come me, di cui il tempo aveva tramandato una storia che raccontava mio nonno, una storia che cercava da tempo risposte. E ora grazie a questi fogli assume un altro significato. Non più e soltanto un nome su un monumento al centro di una piazza paesana, ma qualcosa di più.
Dott. Pier Tommaso Messeri.
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