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In Evidenzia - Curiosità - Ettore Viola | |||||||||||
Ettore Viola
ETTORE VIOLA di Pietro e di Maria Castelli, nacque a Villafranca in Lunigiana di Massa il 21 aprile 1894. Compiuti gli studi secondari, a diciassette anni fu ammesso volontario nell’Amministrazione Ferroviaria e, chiamato alle armi con la sua classe nel novembre 1914, venne assegnato all’88° Reggimento Fanteria. Trattenuto in servizio per mobilitazione, il 24 maggio 1915, raggiunse Bassano ed entrò in guerra contro Promosso sottotenente di complemento di fanteria nel 75° Reggimento, nell’ottobre 1915, a M. Sei Busi, fu decorato di due medaglie d’argento al valore rispettivamente il 18 maggio a Monfalcone e il 4 luglio 1916 a q. 121, ove rimase ferito. Già trasferito in servizio effettivo per merito di guerra e promosso tenente, si condusse con grande valore nei combattimenti di S. Maria e di S. Lucia di Tolmino e, dopo, il ripiegamento verso il Piave, col 149° Reggimento combatté sul M. Tomba per contrastare l’avanzata austriaca. Promosso capitano, passò, a domanda, nel VI Reparto d’Assalto e, per l’azione di sorpresa sul Grappa, a Cà Tasson il 18 maggio 1918, da lui guidata, sebbene ferito, con abilità e coraggio, fu insignito della Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia. Sempre al comando della sua compagnia arditi, per altra audace impresa alla testata di Val Seren fu decorato di Medaglia d’Oro al V.M. con d. l. 29 maggio 1919 con la seguente motivazione: “Comandante di una compagnia arditi, la condusse brillantemente all’attacco
Dopo aver preso parte all’impresa di Fiume con D’Annunzio, fu collocato a riposo per infermità dipendente da causa di guerra e iscritto nel ruolo speciale. Datosi alla vita politica, fu eletto Deputato per la circoscrizione della Toscana nella XXVII legislatura e contemporaneamente fu nominato Presidente dell’Associazione Nazionale Combattenti. Dal 1926 si trasferì in Cile per ragioni politiche e rientrò in Italia nell’aprile 1944. Nominato Consultore Nazionale, fu ancora Presidente dell’Associazione Combattenti e Deputato al Parlamento.
COME ETTORE VIOLA RICORDA LA FONDAZIONE DELL’ISTITUTO DEL NASTRO AZZURRO Quando il duce si preoccupò di contenere e disciplinare almeno lo squadrismo, trasformandolo in milizia, era già troppo tardi: il rassismo non solo non cessò di dominarlo, ma si considerò protetto addirittura dalla nuova milizia. Quale comandante di un gruppo di legioni, io risiedevo alla Caserma Magnanapoli ed avevo tra i più efficienti
collaboratori, con le funzioni di aiutante maggiore, Giorgio Vaccaro. Alla cerimonia per la solenne consegna dei vessilli alle legioni del mio gruppo presenziò Mussolini il quale, dopo un mio discorso d’occasione, mi abbracciò e baciò affettuosamente. Era l’epoca d’oro dei miei rapporti con il duce. Il poeta Fausto Salvatori e l’architetto Armando Brasini ebbero bisogno di presentargli un loro progetto e fui io a
accompagnarli a palazzo Chigi; presi l’iniziativa, d’accordo con pochi amici, di organizzare la Legione Azzurra fra decorati al
Valor Militare, fui io ad informarne Mussolini, il quale mi disse: “Il nome non mi piace. Preferisco quest’altro: Istituto del Alla cerimonia inaugurale dell’Istituto del Nastro Azzurro, che si celebrò in Campidoglio, io fui l’oratore ufficiale. Volle che si desse il maggior rilievo, e lui stesso presenziò personalmente all’evento per consegnarci l’orifiamma.
L’ESTROMISSIONE DI ETTORE VIOLA DA
Il congresso entrò nel vivo delle questioni nella mattinata del 29 quando l’avv. Giulio Bergmann, presidente della Federazione di Provinciale Combattenti di Milano, parlò a nome di 22 federazioni “…premettendo di dover fare ammenda della sua passata debolezza verso i fascisti…”. La sera del successivo 30 luglio, giornata di fuoco durante la quale si erano susseguiti importanti interventi ma anche vivaci discussioni e qualche polemica, l’On. Viola pregò il Presidente Savelli di voler mettere in votazione l’ordine del giorno, che da allora fu detto di Assisi, che suona così: “Il Consiglio Nazionale dell’Associazione Combattenti, unito in Congresso in Assisi, giudica che l’esperienza politica ha dimostrato come l’indipendenza dell’Associazione, base imprescindibile della sua esistenza e della sua autorità morale, non possa seria-mente attuarsi se non attraverso la più piena ed effettiva autonomia di azione. Ritiene che al di sopra delle fazioni in lotta sia oggi urgente ristabilire nella sua piena ed assoluta efficienza l’imperio della legge, base e condizione elementare del libero svolgersi della vita di un popolo, e, mentre ammonisce che non si debbono riabilitare i partiti che disconobbero e svalutarono la vittoria, né acconsentire in alcun modo il ritorno al periodo di vergogna dell’immediato dopoguerra, dichiara al combattente che regge le sorti della Nazione che i suoi commilitoni sorreggeranno la sua opera in quanto essa, ispirandosi ai concetti ideali scaturiti da Vittorio Veneto e riconsacrati dallo spirito che lo condusse al potere, sia effettivamente rivolta al fine di assicurare all’Italia un’alta concordia civile sulla base dell’assoluta condanna degli illegalismi superstiti, della sovranità esclusiva dello Stato secondo lo spirito e la tradizione del nostro Risorgimento, nella elevazione delle forze del lavoro, nel rinato amore della Patria”. Il laborioso documento ricevette 311.240 voti favorevoli e soltanto 3.520 contrari. Alla direzione dell’Associazione risultarono poi eletti Savelli di Genova, Rossini di Novara, Viola di Massa Carrara, Bruni di Bergamo, Russo di Udine, Rizzo di Pola, Zino di Genova, Ciucci di Pisa, Faretti di Ferrara, Fermariello di Napoli, Bavaro di Bari e Orlando di Palermo. Alla carica di Sindaci furono invece eletti Cacciò di Portoferraio, lacobelli di Teramo, Beseghi di Parma,
Fulli di Roma, Caputo di Cosenza. Iniziò la sparatoria verbale il Forges Davanzali. Ci fu tuttavia una pausa concertata “ad hoc”. Infatti Giunta, allora Segretario del Partito; Corradini, capo dei nazionalisti, e Arnaldo Mussolini, dopo aver confabulato tra loro, si avvicinarono cautamente al “colpevole” per fargli questo discorso: “Se attenui il significatoantifascista dell’ordine del giorno, Mussolini ti premierà nominandoti Sottosegretario al Ministero della Guerra”. La risposta del “reprobo”, data in piena Assemblea, fu questa: Mussolini si alzò di scatto e, con il viso sconvolto, disse: “L’Assemblea ha sentito le dichiarazioni dell’On. Viola. Non è il caso di aprire una discussione su queste dichiarazioni, ma io tengo a fare alcune osservazioni e a dire molto esplicitamente che l’ordine del giorno di Assisi non mi piace. Per il prossimo giovedì o venerdì Viola mi ha annunciato una visita del Consiglio Centrale dei Combattenti. Avremo una discussione che sarà molto precisa. È bene non mistificarsi a vicenda”. Il Duce, poi insistette nel rivendicare la sua azione normalizzatrice della vita sociale italiana a fianco dei Combattenti. Alcuni giorni dopo, come previsto, l’intero Comitato C e n t r a l e dell’Associazione si presentò nell’ufficio del Duce, a Palazzo Chigi, ma Mussolini non ottenne nulla. Dopo l’episodio di Assisi, scopo primordiale di Mussolini e di Farinacci, fu quello di svalutare, o minare, il p r e s t i g i o dell’Associazione e dei suoi dirigenti per poi sciogliere il Comitato Centrale ed affidare l’Associazione a più sicuri servitori. “Il Tevere” di Roma e “Il Giornale di Cremona” diretto da Farinacci, fecero a gara a tentare di infangare l’onorabilità dell’On. Viola. La questione era talmente evidente che il Gruppo Medaglie d’Oro al Valor Militare e l’Istituto del Nastro Azzurro, benché già praticamente nell’orbita fascista, trasmisero alla stampa un ordine del giorno di viva deplorazione per la campagna diffamatoria che “Il Tevere” di Roma conduceva contro il Presidente dell’Associazione Combattenti, On. Viola. Con un decreto presidenziale si nominavano i triumviri Rossi, Russo, Sansanelli alla temporanea gestione dell’Associazione in sostituzione dei sospesi organi centrali amministrativi. Ci rimasero invece venti anni. Nel verbale di consegna, siamo al 4 marzo del 1925, il Presidente dell’Associazione fece inserire la seguente protesta: “L’On. Viola dichiara che, mentre fa le più ampie riserve circa la legalità del provvedimento governativo, intende di avere con la sua firma ceduto soltanto le funzioni dell’Ente morale accordato dal Governo in data 24 giugno 1923, e non già l’organizzazione la quale, com’è sorta nel 1919, continuerà a vivere per volontà dei combattenti italiani”. I Commissari del Governo respinsero le riserve del Presidente, ciononostante dovettero aggiungere al verbale quanto segue: “Ponendo a confronto le risultanze della contabilità di fatto riscontrate con la verifica della cassa, in base ai documenti e alle carte contabili, i verbalizzanti dichiarano di non aver nulla da eccepire”. Lo scioglimento del Comitato Centrale dell’Associazione diede luogo a imponenti manifestazioni di protesta da parte della cittadinanza, e l’8 marzo, cioè quattro giorni dopo, si riunì in Roma il Consiglio Nazionale dell’Associazione. Le proteste che ne derivarono furono espresse in un ordine del giorno che cominciava così: “I convenuti dichiarano il loro entusiastico plauso ad Ettore Viola incontaminabile insegna di fulgido eroismo e di purissima fraternità, e deplorano che la erezione dell’Associazione, in Ente Morale, vantata come generosissimo beneficio, sia servita soltanto per proibire quella manifestazione della volontà degli associati, che le leggi fondamentali del Regno garantiscono a tutti i cittadini”. Dopo quel Consiglio Nazionale, con il nome di Associazione Nazionale Combattenti Indipendenti, l’Organizzazione si trasferì in Via Fontanella Borghese, e 50 Federazioni Provinciali, su 74, solidarizzarono con essa. Da quel momento diressero la nuova Associazione l’On. Viola e l’On. Bavaro. Segretario fu Chiapparini di Lucca. (Liberamente tratto da: “Combattenti e Mussolini dopo
Pubblicato sul periodico "Il Nastro Azzurro" |
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