La Battaglia di Vittorio Veneto

Nella battaglia di Caporetto l'esercito italiano aveva perso più di 300.000 uomini e fu costretto alla ritirata, causando la sostituzione del Comandante Supremo Luigi Cadorna col generale Armando Diaz il quale riorganizzò le truppe, blocco l'avanzata nemica e stabilizzò il fronte presso il fiume Piave.

Gli Alleati spingevano sul Comando Supremo Italiano perché passasse all’offensiva, come se le battaglie sostenute non avessero logorato le già stanche truppe ma fortunatamente il generalissimo Armando Diaz, subentrato al Cadorna, era dotato di un’intelligente prudenza e decise diversamente incurante che negli ambienti politici e giornalistici italiani, l’inazione del Comando Supremo, era assai criticata; si temeva che l’Esercito Austro-Ungarico si ritirasse volontariamente dal Veneto, senza esservi costretto da una sconfitta.

Diaz, valutando meglio la situazione politico-militare, escludeva tale eventualità, poiché riteneva, con ragione, che lo sgombero volontario del Veneto avrebbe fatto crollare il morale dell’Esercito Austro-Ungarico e, di conseguenza, la Monarchia Asburgica avrebbe perduto l’unico suo sostegno e il solo elemento che manteneva ancora unite le diverse nazionalità dell’Impero.
Mai, quindi, l’Imperatore Carlo e il Comando Supremo Austriaco avrebbero preso una tale decisione.

Diaz e Badoglio resistettero quindi alle pressioni, convinti che un’offensiva limitata in Italia non avrebbe procurato alcun vantaggio e che era indispensabile conservare le forze efficienti per sferrare al momento opportuno il colpo decisivo.

Seguirono però, attentamente lo sviluppo della situazione e quando il 15 settembre 1918 l’“Armèe d’Orient”, della quale faceva parte la XXXV divisione italiana, sfondò il fronte bulgaro in Macedonia e lo sfacelo del fronte bulgaro-tedesco nel Balcani divenne irreparabile videro allora profilarsi l’opportunità di muovere all’offensiva, per combattere la battaglia decisiva alla quale miravano, in un avvenire assai più prossimo del 1919, primo ipotizzato.

Si trattava di passare il Piave di fronte al Montello, avanzare nella piana della Sernaglia e puntare su Vittorio Veneto per tagliare la principale comunicazione fra le armate austro-ungariche operanti sui monti e quelle schierate lungo il Piave.

La direzione nella quale doveva essere sferrato l’urto principale era ben scelta, dal punto di vista strategico; era, anzi, l’unica che offrisse la possibilità di ottenere, dopo sfondato il fronte nemico, di conseguire un risultato decisivo.

Comportava, però, com’era inevitabile, un preventivo sfondamento del fronte mediante un attacco frontale, rese difficile dalla necessità di passare il Piave dinanzi alla linea di difesa nemica, ma favorito dalla minore densità delle truppe che presidiavano il settore fronteggiante il Montello.

Il piano originario prevedeva che l’VIII Armata (gen. Caviglia) attaccasse dal Montello alle Grave di Papadopoli, appoggiata a destra, dalla II Armata (Duca d’Aosta) e, a sinistra, dalla IV Armata (gen. Giardino) le quali, però, sarebbero entrate in azione dopo che l’VIII Armata avesse sfondato il fronte austro-ungarico.

Il 10 ottobre, con un atto di valore più politico che militare, il Comando Supremo costituì, ai fianchi dell’VIII Armata, che disponeva di 14 divisioni, due Armate: la X, che avrebbe passato il Piave alle Greve di Papadopoli, costituita da due divisioni inglesi e due italiane, agli ordini di Lord Cavan, comandante delle forze britanniche in Italia; la XII, che avrebbe passato il Piave fra Pederobba e Vidòr, composta da una divisione francese e tre divisioni italiane, agli ordini del generale Graziani, comandante delle forze francesi in Italia.
 
Queste due armate, l’una a destra e l’altra a sinistra dell’VIII, dovevano passare il Piave contemporaneamente ad essa; la III Armata (Duca d’Aosta) con 4 divisioni avrebbe passato il basso Piave in un secondo tempo.

La preparazione dell’offensiva – rinforzo di artiglierie trasferite dalla I Armata (Trentino), affluenza delle compagnie pontieri e predisposizione per il gittamento dei ponti, costruzione delle riserve di munizioni, concentramento delle divisioni, ecc. – richiedeva un certo tempo, per cui l’inizio dell’offensiva fu previsto per il 22 ottobre. 

Purtroppo il Piave era in pena e le piogge persistenti fecero temere un ulteriore ingrossamento delle acque e sul suo fondo ghiaioso, con una corrente di velocità superiore ai 2,50 metri al secondo, le ancore non avevano presa e i ponti non potevano essere gettati.

Il Comando Supremo, non volendo rimandare l’inizio della battaglia, modificò il piano predisposto e il 18 ottobre ordinò che la IV Armata (Giardino) attaccasse il Grappa con 9 divisioni, in attesa che le altre armate potessero gettare i ponti sul Piave.

Il generale Giardino dovette così improvvisare in pochissimi giorni una offensiva contro una difesa fortissima, presidiata da truppe superiori in numero a quelle con le quali, da parte italiana, il Grappa era stato difeso nel mese di giugno.

Il 21 ottobre il compito della IV Armata fu precisato: separare la massa austriaca del Trentino da quella del Piave, raggiungendo il solco Primolano-Arten-Feltre.

In tre giorni fu compiuto un enorme sforzo: 70 batterie di rinforzo furono messe in posizione sul Grappa e le divisioni di rinforzo furono avvicinate. Si ottenne di realizzare una certa superiorità di numero di cannoni, ma rimasero pressoché pari le forze delle fanterie contrapposte, mancando lo spazio per impiegarne di più.

Ne risultava un danno per la IV Armata, poiché l’esperienza ammoniva che l’attaccante doveva avere una superiorità di almeno il doppio.

Il compito dell’armata era perciò gravissimo e difficile.
Dopo un intenso fuoco di preparazione delle artiglierie, iniziato alle 3 della notte del 23 al 24 ottobre, alle 7,15 le fanterie mossero all’attacco delle fortissime posizioni dell’Asolone, del Pertica, del Valderoa, dello Spinoncia.

Ebbe così inizio una lotta cruenta, durissima, di assalti e contrassalti, una lotta che richiese abnegazione senza limiti alle truppe lanciate all’attacco contro posizioni che già avevano rivelato nelle lotte del novembre-dicembre 1917 e del giugno 1918 la loro inespugnabilità.

Contemporaneamente, nel settore della X Armata, una divisione italiana ed una inglese occuparono alcune isole delle Grave di Popadopoli, dove la corrente del Piave, per l’ampio letto del fiume, era meno rapida e consentiva il gittamento dei ponti.

Il 25 e il 26 ottobre la lotta sul Grappa divenne sempre più aspra e dura; le alture passavano di mano in mano, contese da fanterie italiane e austriache che dimostravano pari valore e straordinaria tenacia e il sacrificio dell’armata del Grappa stava però già dando i primi frutti: il Comando Supremo Austro-Ungarico dovette fare affluire sul monte le divisioni che aveva in riserva e che non sarebbero più state disponibili per contrattaccare sul Piave. 

Nella notte dal 26 al 27 i primi reparti delle Armate XII, VIII e X, riuscirono a passare il fiume, grazie all’abnegazione dei pontieri. 

Nel pomeriggio del 28 ottobre il sole si affacciò fra le nubi e sui monti cessò di piovere; il livello del fiume incominciò ad abbassarsi e le prime passarono sui ponti delle Grave, avanzando verso nord. In quel pomeriggio la vittoria si delineò sicura.

Con uno sforzo estremo i pontieri costruirono sicuri passaggi e il 29 ottobre tutti i corpi d’armata di prima linea poterono passare il Piave.

A nord del Montello le divisioni XXIII francese e LII alpina dilagarono oltre il fiume; gli alpini si impadronirono di Monte Barberie, mentre il I corpo italiano giungeva a Quero, nella valle del Piave.

Il mattino del 30 ottobre gli alpini conquistarono Monte Cesen, mentre il 21° corpo con gli arditi della I divisione d’assalto, truppe dell’8° corpo ciclisti e cavalleria giungevano per differenti vie a Vittorio Veneto.

La separazione delle armate austriache dei monti da quelle del piano era ormai un fatto compiuto; lo scopo strategico della battaglia era raggiunto. Da quel momento ebbe infatti inizio l’inseguimento che causò il totale sfacelo dell’Esercito Imperiale.

Poi venne il crollo.

Nella notte dal 30 al 31 ottobre le divisioni austro-ungariche che avevano difeso eroicamente il Grappa, minacciate di accerchiamento, cominciarono a indietreggiare, inseguite immediatamente da alpini, fanti e bersaglieri, ai quali si unì un gruppo di squadroni di cavalleria che, oltrepassato il monte, puntò su Belluno, caricando truppe nemiche in ritirata.

Era ormai scoccata l’ora tanto attesa dalla cavalleria e le quattro divisioni di cavalleria e i reggimenti delle armate avanzarono rapidamente alla Livenza e poi al Tagliamento, oltrepassando le colonne nemiche in ritirata.

Il 31 ottobre entrò in azione anche la VI Armata sull’Altipiano di Asiago e nei giorni successivi la I Armata e la VII. Tutto il fronte, dallo Stelvio al mare, fu in movimento: la gara per giungere il più lontano possibile era aperta e l’entusiasmo propagatosi fra le truppe fece trascurare fatiche e stanchezze.

Il 3 novembre avanguardie italiane entrarono in Trento e in Udine, mentre bersaglieri e marinai sbarcavano a Trieste.
L'armistizio venne firmato il 3 novembre a Villa Giusti (vicino Padova), ed entrò in vigore alle ore 15.00 del 4 novembre.

La battaglia segnò la fine delle ostilità sul fronte italiano e la resa dell'Austria-Ungheria inflisse un duro colpo alla Germania, che di lì a poco avrebbe chiesto la pace.

Il Bollettino della Vittoria (cui l'autore materiale fu il generale Domenico Siciliani, capo dell’Ufficio Stampa del Comando Supremo) è il documento ufficiale emesso dal Comando Supremo dell'esercito italiano che annunciava la disfatta nemica e la vittoria dell'Italia nella Prima Guerra Mondiale.

Il testo, fuso nel bronzo delle artiglierie catturate al nemico, è esposto in tutte le Caserme d'Italia.

 

Comando Supremo, 4 Novembre 1918, ore 12

La guerra contro l'Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l'Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 Maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi è vinta.

La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso Ottobre ed alla quale prendevano parte cinquantuna divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca ed un reggimento americano, contro settantatre divisioni austroungariche, è finita.

La fulminea e arditissima avanzata del XXIX corpo d'armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della VII armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV, ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria. Dal Brenta al Torre l'irresistibile slancio della XII, dell'VIII, della X armata e delle divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente.

Nella pianura, S.A.R. il Duca d'Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta III armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva perdute.

L'Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell'accanita resistenza dei primi giorni e nell'inseguimento ha perdute quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecento mila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinque mila cannoni.

I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.
Armando Diaz

ISTITUTO DEL NASTRO AZZURRO FRA COMBATTENTI E DECORATI AL VALOR MILITARE