Battaglia del Piave
Dopo lo sfondamento di Caporetto lo Stato Maggiore italiano, d'accordo con l'alto comando dell'Intesa (convegni di Rapallo e di Peschiera, 6-8 novembre 1917), decise di attestare la nuova linea sul Piave ordinando nel contempo l'arretramento delle armate delle linee Giulia e Carnica.
La nuova linea, che si estendeva dal Trentino al mare, aveva al centro, come cardine di raccordo, il monte Grappa sul quale sin dall'offensiva austriaca del Trentino dell'anno precedente, erano stati compiuti lavori di accesso e di difesa.
Con l'espressione battaglia del Piave si intende quindi quel complesso di azioni di contenimento e di difesa prima, e quindi di contrattacco che si susseguirono dal novembre 1917 all'estate 1918 e che precedettero la battaglia finale di Vittorio Veneto.
Le forze contrapposte erano inizialmente costituite, da parte italiana di 15 divisioni costituenti la IV armata (generale Di Robilant) e la III armata (duca d'Aosta), da parte austriaca di 38 divisioni ripartite tra la XIV armata austro-germanica (generale von Below) e il gruppo di armate dell'Isonzo (generale Boroevic). Ma ad un certo punto si arrivò a 51 divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca e un reggimento americano, contro 73 divisioni austro-ungariche.
Dopo il passaggio in riva destra della III Armata, delle residue sbandate forze della II Armata, battuta a Plezzo e Tolmino e la distruzione di tutti i ponti verso la riva sinistra, inizia la disperata resistenza degli italiani contro le vincenti truppe austro-tedesche dell'"IsonzoArmee" del maresciallo Boroevich, imbaldanzite dal rapido successo.
Nella prima metà di novembre gli Austriaci riuscirono a costituire delle pericolose teste di ponte sulla riva destra del Piave, a Zenzon, a Fagarè, Folina e Valdobbiadene nonché (a dicembre) ad Agenzia Zuliani e a Capo Sile.
Ma, dopo accaniti combattimenti, le valide avanguardie austriache che non possono ricevere sufficienti rinforzi dalla riva sinistra per evidenti difficoltà logistiche e per l'azione dell'artiglieria italiana, vengono accerchiate e quindi catturate, contenendo e respingendo così l' offensiva.
Durante tutto l'inverno le truppe italiane poterono consolidare le loro posizioni lungo il fiume mentre la lotta ardeva sul monte Grappa.
La battaglia riprese tra il 15 e il 23 giugno, quando gli Austro-Ungarici lanciarono una nuova grande offensiva su tutto il fronte dagli altopiani di Asiago (in codice Offensiva Radetzki) al Piave (in codice Operazione Albrecht).
Fu questa una delle più dure e sanguinose battaglie della prima guerra mondiale. Teste di ponte vengono nuovamente occupate sulla riva destra, nelle stesse zone del novembre passato.
L'offensiva ha particolare successo nella zona del Montello, che viene occupato per metà, fino alla sommità; anche Nervosa e la zona circostante vengono occupate.
Ma da novembre a giugno, l'esercito italiano, alla guida del nuovo Capo di Stato Maggiore Armando Diaz, ha avuto il tempo di rafforzarsi, di riempire gli spaventosi vuoti in armamenti, materiale di artiglieria, aviazione, vettovagliamento, creati con la rotta di Caporetto; e ha creato una rete di sistemi difensivi a compartimenti stagni.
I soldati italiani e in particolare la nuova classe chiamata alle armi, i "ragazzi del '99", con il contributo di divisioni inglesi e francesi, compiono prodigi di valore e riescono gradualmente a respingere il nemico.
La situazione si ristabilisce con gli Italiani ben attestati sulla riva destra e gli Austro-Ungarici su quella sinistra.
Durante l'offensiva di giugno muore tra gi altri, sul Montello, l'asso dell'aviazione Francesco Baracca, il cui "cavallino rampante" verrà preso da Enzo Ferrari come simbolo della famosa casa di automobili sportive, dopo averne chiesto il permesso alla madre di Francesco Baracca.
Commentando l'esito della battaglia, Hindenburg scrisse: "Gli Italiani sapevano quanto noi che l'Austria-Ungheria aveva gettato in questo attacco tutto il suo peso sulla bilancia della guerra. Da questo momento la monarchia danubiana ha cessato di essere un pericolo per l'Italia".
Tra il 2 ed il 6 di luglio del 1918 la 3ª Armata del Regio Esercito Italiano occupò le zone tra il Piave vecchio ed il Piave nuovo.
Durante lo svolgersi della battaglia, denominata Battaglia del Solstizio, perirono 84.600 militari italiani e 149.000 militari austro-ungarici.
Era questo il preludio alla prossima travolgente offensiva, nota come Battaglia di Vittorio Veneto, che in pochi giorni sbaragliò il nemico, che già a giugno, perdendo sul Piave, aveva ricevuto un duro colpo, che avrebbe portato alla vittoria.
Il 4 novembre venne firmato l'Armistizio, che mise fine alle ostilità su tutto il fronte. Quella data viene ricordata ancora oggi come il "Giorno della Vittoria", festa delle Forze Armate Italiane.
La Canzone del Piave
La Canzone del Piave altrimenti nota come La Leggenda del Piave è una delle più celebri canzoni patriottiche italiane. Il brano fu scritto nel 1918 al maestro Giovanni Ermete Gaeta (noto con lo pseudonimo di E.A. Mario).
I fatti storici che ispirarono l'autore risalgono al giugno del 1018 quando l'Austria-Ungheria decise di sferrare un grande attacco sul fronte italiano del Piave. Ciò consenti alla Landwehr (l'Esercito Imperiale Austriaco) di avvicinarsi alle località venete di Gava di Papodopoli e Montello.
Ebbe così inizio l'eroica resistenza delle Forze Armate del Regno d'Italia che costrinsero gli austro-ungarici a ripiegare.
Le quattro strofe hanno quattro specifici argomenti:
Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio
dei primi fanti il ventiquattro maggio;
l'esercito marciava per raggiunger la frontiera
per far contro il nemico una barriera!
Muti passaron quella notte i fanti,
tacere bisognava andare avanti.
S'udiva intanto dalle amate sponde
sommesso e lieve il tripudiar de l'onde.
Era un presagio dolce e lusinghiero.
il Piave mormorò: Non passa lo straniero!
Ma in una notte triste si parlò di un fosco evento
e il Piave udiva l'ira e lo sgomento.
Ahi, quanta gente ha visto venir giù, lasciare il tetto,
poiché il nemico irruppe a Caporetto.
Profughi ovunque dai lontani monti,
venivano a gremir tutti i suoi ponti.
S'udiva allor dalle violate sponde
sommesso e triste il mormorio de l'onde.
Come un singhiozzo in quell'autunno nero
il Piave mormorò: Ritorna lo straniero!
E ritornò il nemico per l'orgoglio e per la fame
volea sfogare tutte le sue brame,
vedeva il piano aprico di lassù: voleva ancora
sfamarsi e tripudiare come allora!
No, disse il Piave, no, dissero i fanti,
mai più il nemico faccia un passo avanti!
Si vide il Piave rigonfiar le sponde
e come i fanti combattevan l'onde.
Rosso del sangue del nemico altero,
il Piave comandò: Indietro va, o straniero!
Indietreggiò il nemico fino a Trieste fino a Trento
e la Vittoria sciolse l'ali al vento!
Fu sacro il patto antico, tra le schiere furon visti
risorgere Oberdan, Sauro e Battisti!
Infranse alfin l'italico valore
le forche e l'armi dell'Impiccatore!
Sicure l'Alpi, libere le sponde,
e tacque il Piave, si placaron l'onde.
Sul patrio suolo vinti i torvi Imperi,
la Pace non trovò né oppressi, né stranieri!
La melodia è tuttora orchestrata da bande musicali istituzionali e non, specialmente in occasione delle celebrazioni per la Festa della Repubblica (2 giugno).
Questi versi, densi di amor patrio, e la sua solenne, seppur a tratti mistificatoria, rievocazione storica, fecero sì che da più parti si levasse la richiesta di adottarlo come inno nazionale, cosa che avvenne dal 1946 al 1947, quando La Canzone del Piave fu l'inno nazionale non ufficiale della Repubblica Italiana. Com'è noto, la melodia fu sostituita in favore de Il Canto degli Italiani.
Il Canto degli Italiani
Canto degli Italiani (conosciuto anche come l'Inno di Mameli o Fratelli d'Italia, dal verso introduttivo) è l'inno nazionale italiano, adottato in via provvisoria il 12 ottobre 1946.
Scritto nell'autunno del 1847 da Goffredo Mameli dopo aver scartato l'idea di adattarlo a musiche già esistenti, il 10 novembre lo inviò al maestro Michele Novaro, che scrisse di getto la musica, cosicché l'inno poté debuttare il 10 dicembre, quando sul piazzale del Santuario di Oregina fu presentato ai cittadini genovesi e a vari patrioti italiani in occasione del centenario della cacciata degli austriaci.
In seguito, fu intonando l'inno di Mameli che Garibaldi coi Mille intraprese la conquista dell'Italia meridionale e la riunificazione nazionale. Mameli era già morto, ma le parole del suo inno, che invocava un'Italia unita, erano più vive che mai. Anche l'ultima tappa di questo processo, la presa di Roma del 1870, fu accompagnata da cori che lo cantavano accompagnati dagli ottoni dei bersaglieri.
Durante la prima guerra mondiale: l'irredentismo che la caratterizzava, l'obiettivo di completare la riunificazione che infiammava molti uomini nutrendo così gli eserciti italiani, trovò facilmente ancora una volta un simbolo nel Canto degli italiani.
Nella seconda guerra mondiale, indicibilmente più dura della prima, non ci fu lo spazio nemmeno per i canti che avevano invece caratterizzato la Grande Guerra nascendo molto spesso dal basso: solo dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 l'inno di Mameli e molti altri vecchi canti assieme a quelli nuovi dei partigiani risuonarono per tutta Italia (anche al Nord, dove erano trasmessi dalla radio) dando coraggio agli italiani.
Il Consiglio dei ministri nel 14 ottobre 1946 acconsentì all'uso dell'inno di Mameli come inno nazionale, limitandosi così a non opporsi a quanto decretato dal popolo, LLa Costituzione sancì l'uso del tricolore come bandiera nazionale, ma non stabilì quale sarebbe stato l'inno (una banale dimenticanza?), e nemmeno il simbolo della Repubblica, che essendo fallito il primo concorso dell'ottobre 1946 fu scelto solo con il decreto legislativo del 5 maggio 1948 in seguito a un secondo concorso cui parteciparono 197 loghi di 96 artisti e specialisti, dei quali risultò vincitore Paolo Paschetto, col suo noto emblema.
Secondo il cerimoniale ufficiale, le «regole scritte e non scritte» prevedono che normalmente dell'inno di Mameli sia eseguita solo la prima strofa senza l'introduzione strumentale; durante l'esecuzione i soldati devono rimanere fermi presentando le armi, gli ufficiali stare sull'attenti e i civili se vogliono tenere la mano destra sul cuore.
Dal 1970 inoltre ogni esecuzione dell'inno nazionale dovrebbe essere accompagnata da quella dell'inno europeo, l'inno alla gioia della Nona sinfonia di Beethoven.
Testo
Fratelli d'Italia
L'Italia s'è desta
Dell'elmo di Scipio
S'è cinta la testa
Dov'è la vittoria?
Le porga la chioma
Ché schiava di Roma
Iddio la creò
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò
Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi
Perché non siam Popolo
Perché siam divisi
Raccolgaci un'Unica
Bandiera una Speme
Di fonderci insieme
Già l'ora suonò
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò
Uniamoci, amiamoci
L'unione e l'amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore
Giuriamo far Libero
Il suolo natio
Uniti, per Dio,
Chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte,
Siam pronti alla morte,
L'Italia chiamò.
Dall'Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn'uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d'Italia
Si chiaman Balilla
Il suon d'ogni squilla
I Vespri suonò
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò
Son giunchi che piegano
Le spade vendute
Già l'Aquila d'Austria
Le penne ha perdute
Il sangue d'Italia
Il sangue Polacco
Bevé col cosacco
Ma il cor le bruciò
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò
Sì (cantato)