Vittorio Emanuele II
Soprannominato “Re Galantuomo” perché accettò la monarchia
costituzionale pur essendo di idee reazionarie e seppe
rispettare le decisioni dei suoi ministri anche quando non era
d'accordo e “Padre della Patria” perché durante il suo regno
nacque lo stato Italiano, re di Sardegna (dal 23 marzo 1849),
primo re d'Italia (1861).
Vittorio Emanuele era il primogenito di Carlo Alberto di
Savoia-Carignano e di Maria Teresa d'Asburgo Lorena.
Nacque a Torino il 14 marzo 1820 nel palazzo della famiglia
paterna e fu battezzato con i nomi di Vittorio Emanuele Maria
Alberto Eugenio Ferdinando Tommaso, seguì il padre a Firenze,
dove soggiornò per alcuni anni.
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Vittorio Emanuele II |
Nella giovinezza dimostrò grande interesse per gli studi
politici e militari e attitudine per tutti gli sport.
Il 12 aprile 1842 sposò a Stupinigi la cugina Maria Adelaide di
Ranieri, figlia dell'Arciduca Ranieri, Vice-Re del
Lombardo-Veneto, e di Maria Elisabetta, sorella di Carlo
Alberto, con la quale ebbe otto figli: la Principessa Maria
Clotilde sposa per motivi politici ad un cugino primo di
Napoleone III; Il Principe Umberto, Principe del Piemonte
(1849-1878) e Re d'Italia (1878-1900); Il Principe Amedeo, Re di
Spagna (1871-1873) e Duca d'Aosta (1845-1890); Il Principe
Oddone Eugenio Maria, Duca di Monferrato (1846 - 1866); La
Principessa Maria Pia, sposa del re del Portogallo: Il Principe
Carlo Alberto, Duca di Chablais (1851 - 1854); Il Principe
Vittorio Emanuele (1852 - 1852); Il Principe Vittorio Emanuele,
Conte di Genova (1855 - 1855).
Maria Adelaide di Ranieri non fu mai Regina d'Italia perché morì
il 20 gennaio 1855 a Torino, prima dell'unificazione e Vittorio
Emanuele II sposò, morganaticamente, a Roma il 7 novembre 1869
Rosa Teresa Vercellana Guerrieri (soprannominata La Rosina o la
La bella Rosin) una delle sue amanti.
Partecipò alla Prima guerra d'Indipendenza agli ordini del padre
si batté nelle prime file a Pastrengo, a Santa Lucia, a Goito e
a Custoza ma a seguito alla sconfitta di Novara (23 marzo 1849),
quando Carlo Alberto abdicò, si ritrovò sulle spalle la
responsabilità del regno.
Trattò abilmente con il maresciallo Radetzky l'Armistizio di
Vignale, evitando al Piemonte un'umiliazione più pesante, ma il
Trattato non fu però approvato dalla Camera, in mano ai
democratici così che il Re sostituì il Ministero de Launay con
quello presieduto da Massimo d'Azeglio e indisse nuove elezioni
rivolgendo al popolo il Proclama di Moncalieri.
Il popolo intese le parole del Sovrano e la nuova Camera approvò
l'operato del Ministero.
La città di Genova, che s'era ribellata al Regno Sabaudo, e che
fu per questo assediata, fu pesantemente bombardata (incluso
l'ospedale) ed infine abbandonata al saccheggio dei bersaglieri
del generale Alfonso La Marmora, appena sconfitti dagli
Austriaci ed inviati dal giovane Re a riprendere il controllo
della città.
Vittorio Emanuele, compiaciuto, scrisse in francese una lettera
d'elogio al La Marmora (aprile 1849), definendo il popolo
genovese in lotta per riconquistare la propria antica
indipendenza - perduta dopo secoli ad opera delle truppe
Francesi 1797 - "vile e infetta razza di canaglie" (vile et
infecte race de canailles).
Come Re di Sardegna fu affiancato da validi ministri quali
Massimo D'Azeglio e Camillo Benso conte di Cavour che
modernizzarono il regno.
Dopo la guerra di Crimea, che aumentò enormemente il prestigio
del Regno e rese attuale la Causa italiana, Vittorio Emanuele
divenne per molti il simbolo della speranza dell'Unità
nazionale.
In seguito ad alcuni espedienti messi in atto da Cavour nel 1859
(Accordi di Plombières, 1858) l'Austria dichiarò la Seconda
guerra d'Indipendenza condotta a fianco dei francesi di
Napoleone III e che portò alle vittorie di Magenta, Solferino e
San Martino.
In seguito all'armistizio di Villafranca voluto da Napoleone III
i dissapori tra il re e Cavour spinsero questi alle dimissioni.
Nel frattempo il Re non ostacolava la spedizione dei Mille
(1860) di Giuseppe Garibaldi ma fu costretto a partire con
l'esercito piemontese per fermarlo nel momento in cui il
generale dimostrò l'intenzione di attaccare Roma, posta sotto la
protezione della Francia di Napoleone III, la quale attraverso
Vittorio Emanuele (che era essenzialmente francofono) vedeva
finalmente coronato il proprio disegno, lungamente perseguito,
di controllo del resto d'Italia e del Mediterraneo occidentale
in concorrenza con le analoghe mire britanniche.
Il Re alla testa dell'esercito marciava per le Marche e per
l'Umbria, passava il confine del Tronto e incontrava Garibaldi
presso Teano.
I plebisciti (1861) permisero a Vittorio Emanuele di essere
proclamato primo Re d'Italia per Grazia di Dio e volontà della
Nazione il 17 marzo 1861 dal nuovo Parlamento italiano a Torino,
che diventava la prima capitale d'Italia.
La nuova nazione, che usciva dagli anni del Risorgimento,
raggiungeva la sua unità, almeno sul piano formale.
Vittorio Emanuele II guidò nel 1866 la terza guerra
d'indipendenza combattendo al fianco della Prussia contro
l'Austria, conclusasi con l'annessione del Veneto all'Italia;
dopo aver tentato invano di risolvere pacificamente la crisi con
Roma, quando il presidio francese abbandonò Roma a seguito della
disastrosa sconfitta della Francia nella guerra
Franco-Prussiana, appoggiò l'azione dei bersaglieri nell'assalto
di Porta Pia (20 settembre 1870).
Entrò in Roma solennemente il 2 luglio 1871.
Dopo la fine dello Stato Pontificio, si trasferì da Firenze,
divenuta nel 1864 capitale, a Roma, divenuta nuova capitale,
insediandosi al Palazzo del Quirinale.
Il compimento dell'unificazione italiana gli procurò
l'appellativo di Padre della Patria ma Vittorio Emanuele II
morì a Roma il 9 gennaio del 1878, dopo 28 anni e 9 mesi di
regno, sulla propria poltrona dopo aver ricevuto l'inviato di
Papa Pio IX, che era incaricato di revocargli la scomunica.
Venne sepolto al Pantheon, nella seconda cappella a destra di
chi entra, adiacente cioè a quella con l'Annunciazione di
Melozzo da Forlì e vegliato dalle Guardie d'Onore alle Reali
Tombe del Pantheon. |