|
|||||||||||
In Evidenzia - Curiosità - Storia del Battaglione Mameli | |||||||||||
Storia del Battaglione Mameli
Notizie attinte dal volume “Dalmazia - una cronaca per la storia” di Oddone Talpo, edito dallo Stato Maggiore dell’Esercito - ufficio storico - Roma 1994 volume III - 1943 / 1944 pagine 1338, 1340 e 1351 con l’integrazione di notizie ricavate dal libro di Agostino Bistarelli – “La resistenza del militari italiani all’estero - Jugoslavia centro settentrionale”. Situazione La notte dell’8 settembre 1943, alla notizia dell’armistizio italiano, Hitler decise che tutti i territori italiani della Dalmazia L’ingresso a Zara dei croati di Pavelic, con la fama che avevano acquisito gli ustascia, si presentava come il pericolo di un
immane massacro. Allora si costituì, nelle vicinanze di Zara, il battaglione “Mameli” al comando del Capitano Mario Poco dopo Martinelli venne fatto sparire dai partigiani jugoslavi che determinarono anche lo scioglimento del battaglione “Mameli”. Quel fallito tentativo di insurrezione fu definito, in un testo storiografico, “di un ardimento ai limiti dell’irrazionalità.” Armistizio ed entrata delle truppe germaniche a Zara Il 10 settembre alle ore 15,00 entrano a Zara reparti della 42^ divisione tedesca Jager. Il generale Umberto Spigo, comandante del XVIII corpo d’armata, firma l’accordo per la consegna delle armi. Poco più tardi due aerei croati sorvolano la città e lanciano volantini in lingua croata firmati Ante Pavelic: “Dalmati! Il capo Ecc.” Il Prefetto e il Commissario al Comune si recano immediatamente dal maggiore Teissi, comandante della guarnigione C’erano inoltre altri 12.000 soldati italiani allo sbando e consegnati nelle caserme. Vicende del Battaglione “Mameli” Martinelli, ritenne di poter combattere per la bandiera italiana cacciando i tedeschi da Zara con l’appoggio dei partigiani Era inoltre inevitabile l’attrito con i comandi partigiani jugoslavi che nelle proprie strutture non consentivano
alcuna autonomia, e tanto meno potevano ammettere che un reparto tutto italiano, al quale non erano riusciti ad imporre Il 25 settembre il battaglione fu rinforzato da una ulteriore aggregazione di soldati italiani del reparto avvistamento aerei Il giorno 27 settembre un reparto del btg. Mameli, agli ordini del tenente Genni, respinse, nella zona di Peterzane, l’attività In quel periodo si fecero più pressanti le insistenze dei partigiani locali per far rientrare individualmente i soldati italiani in Patria. Evidentemente era più proficuo politicamente, dal loro punto di vista, che gli italiani non partecipassero, inquadrati, uniti ed autonomi, alla liberazione di Zara, città storicamente contesa dai croati. “A rendere più delicata la questione si aggiungeva una marcata vena irredentistica che il capitano Martinelli poneva nella propria azione”. In quei giorni, a cavallo tra settembre ed ottobre, il btg. Mameli avrebbe raggiunto la forza di duecento uomini (molti di più secondo le fonti jugoslave). Il 4 ottobre, in una battaglia tra tedeschi e partigiani jugoslavi che stava volgendo sfavorevolmente per questi ultimi, il battaglione italiano, accorrendo di propria iniziativa a Pogliosa (poljica), respinse il nemico infliggendogli gravi perdite. Il giorno 8 ottobre tutti i plotoni si riunirono nel villaggio di Cosino a rinforzare i due chilometri di linea di competenza (con difese campali, postazioni d’arma, osservatori) e il capitano Martinelli completò il piano per la liberazione di Zara: un assalto notturno coordinato all’appoggio di reparti entro la città, probabilmente carabinieri. Il progetto doveva avere qualche fondamento se il colonnello Wladimiro Nani, comandante del 291° fanteria, che con l’11° e il 2° battaglione presidiava la cinta difensiva da oltre Puntamica a Boccagnazzo, fronteggiando nel primo tratto proprio la “Mameli”, dice: “ufficialmente il compito era quello di prevenire attacchi partigiani su Zara; in effetti si prese subito contatto con i partigiani della zona, in specie con quelli insediati a Nona (8 km a nord-ovest di Cosino) allo scopo di tenersi reciprocamente informati onde adottare, al momento di un’eventuale azione, una comune linea di condotta”. Martinelli cercò quindi contatti concreti con i reparti italiani schierati a difesa di Zara (in particolare con i carabinieri del maggiore Trafficante) e con il comando partigiano che avrebbe fornito dei rinforzi - un centinaio di uomini - e attuato un’azione diversiva nel settore dell’aeroporto di Zemonico. L’operazione ebbe luogo nella notte del 10 ottobre 1943, ma a causa della presenza di una pattuglia di partigiani jugoslavi che provocò la reazione tedesca, gli italiani che erano già penetrati all’interno della cinta difensiva della città, furono costretti a ritirarsi, una volta fallita la sorpresa. Alcune testimonianze dei soldati italiani della formazione stigmatizzarono la presenza della pattuglia croata, fino a sostenere che fosse stata premeditata per far fallire l’azione del btg. “Mameli”. Questo colpo di mano, che oggi appare di un ardimento ai limiti dell’irrazionalità, va collegato a quella volontà di opporsi L’idea maturò e, già verso il 16 settembre, alcuni ufficiali superiori, riunitisi con altri ufficiali nei locali del Comando Marina, esaminarono la possibilità di una reazione. Avendo constatato che le truppe tedesche ammontavano a non più di duecentocinquanta uomini, si era fatta strada l’idea d’un colpo di mano. In città, oltre ai reparti italiani posti a difesa detta cinta fortificata (5.000), c’erano per lo meno altri dodicimila uomini consegnati nelle caserme. Nello studio del piano venne considerata anche la probabilità di combattere sulla cinta fortificata qualora i germanici fossero tornati. Ma in tal caso, per avere un minimo di successo, la resistenza non poteva non essere coordinata ad uno sbarco di reparti italiani o alleati. Nessuno si nascose che, in tal caso, Zara sarebbe stata inevitabilmente bombardata dagli Stuka del vicino campo di Zemonico e che, se i rinforzi da Bari non fossero tempestivamente arrivati, i soldati non avrebbero avuto la possibilità di disimpegnarsi, e gli ufficiati sarebbero stati fucilati. Le difficoltà, i rischi, l’inevitabile coinvolgimento della popolazione, apparvero preminenti. Nonostante le evidenti difficoltà, il progetto non venne completamente abbandonato tanto che, con il concorso di zaratini e peninsulari, una rivolta doveva scoppiare al segnale di sirena delle ore 10,00 del 28 settembre 1943, agli ordini di un comitato esecutivo composto da ufficiali e da alcuni civili. “Avevano anche stabilito contatti con ufficiati partigiani facendosi promettere il loro appoggio ed, in caso di cacciata dei tedeschi da Zara, il rispetto della sovranità italiana della città”. Si può quindi ritenere che dal primitivo progetto di sostenere la rivolta con aiuti da Bari, si fosse ripiegato - militarmente in modo più concreto - sul concorso dei partigiani. Il fermento ed i propositi antitedeschi dovevano essere notevoli, ma scoordinati, in quanto il sottotenente Riccardo Dell’Aquila parla anche di un piano organizzato dal Comando Gruppo CC.RR. della Dalmazia (circa una ventina di giorni dopo l’armistizio) per impadronirsi del comando tedesco prendendo gli ufficiali come ostaggi. Ed il tenente Antonio Calderone conferma che “il Maggiore (dei CC.RR.) Trafficante in accordo con il caro Capitano Martinelli, allora comandante di un gruppo di militari datisi alla macchia con i partigiani, aveva anche deciso di dare il colpo decisivo per liberare Zara dal giogo nazi-fascista” [pagina 1340 di Dalmazia: una cronaca per la storia]. Nella sera del 16 ottobre venne avvistato un convoglio di 12 natanti tedeschi diretto su Zara. Il btg. “Mameli” si mise subito all’opera con ben aggiustate raffiche di mitragliatrici. La reazione fu violentissima. Nessuna perdita da parte del btg. Mameli mentre sarebbero state gravi le perdite subite dai tedeschi. Il giorno 18 ottobre i tedeschi avanzarono, su tre colonne, verso lo schieramento della Mameli che dal mare volgeva a semicerchio per due chilometri circondando il paese di Cosino. Grazie ad un’azione condotta dal tenente Gennari, che attaccò di sorpresa sul fianco i tedeschi mentre le postazioni mitragliavano in testa la colonna, l’attacco venne respinto con successo. Fu forse questa ennesima attività positiva dei reparti italiani a convincere il comando tedesco per un’azione in grande stile. Il 19 ottobre la banda a.c. “Obrovazzo” (*) prese parte al combattimento di Cosino contro i soldati del battaglione “Mameli” che commisero l’errore di ancorarsi al terreno con fortificazioni campali. L’attacco venne condotto da circa settecento uomini fra tedeschi (X° battaglione del 721° “Jager”) e banda “Obrovazzo”. Gli uomini della “Mameli” erano al comando del capitano degli alpini Piero Luccioli, perché quella mattina il capitano Martinelli si trovava a Nona (Nin, 8 km a nord di Cosino). “L’attacco, improvviso, cominciò all’alba in una giornata nera; densa di nubi di tuoni, di pioggia. I tedeschi avanzarono su tre colonne. Intervennero gli Stukas ed una sezione di carri armati. Il combattimento si protrasse sino al primo pomeriggio. L’azione, inizialmente frontale, si sviluppò con un accentuato movimento ai lati della zona apprestata a difesa. Mentre l’accerchiamento si stava chiudendo. Luccioli ordinò ai tenenti Monaco e Grasci di cercare di aprire un varco per porre in salvo il maggior numero possibile di uomini. Con bombe a mano, e con il fuoco delle armi automatiche, i due ufficiali, con i S. Tenenti Gaggero e Maras ed un centinaio di uomini riuscirono a passare”. Riuscirono a porsi in salvo complessivamente 160 degli uomini del btg. Mameli. Ciò non riuscì invece ad altri 11 militari italiani che sono morti e a 46 fatti prigionieri. Tra i morti il tenente Gatti e il capitano Luccioli che resistette ad oltranza al fine di proteggere il ripiegamento dei suoi uomini. Diverse sono le versioni che descrivono la sua morte. Scrive Damjanovic che Luccioli è ritrovato dai partigiani dietro un muretto, “davanti a lui c’era un mucchio di bossoli. Aveva sparato fino all’ultimo col suo mitra. Con l’ultima pallottola si era tolto la vita per non cadere vivo in mano al nemico. Accanto al corpo guaiva il suo cane lupo che si era portato dietro da Zara”. Invece, secondo un’altra versione “il capitano Luccioli, investito dallo scoppio d’una bomba d’aereo e ferito alle gambe, sarà ucciso dai tedeschi durante il rastrellamento del campo di battaglia”. I resti del btg. Mameli si concentrarono a Poglizza dove rientrò anche il capitano Martinelli. Nonostante l’opera del corpo ufficiali, oltre sessanta uomini della formazione decisero di partire verso l’Italia. Dopo qualche giorno quel che restava del battaglione si trasferì a Nona. Qui il gruppo ha ricevuto abiti, anche grazie ad un collegamento stabile con qualche collaboratore oltre la cinta tedesca attorno a Zara. Tra questi collegamenti c’era anche un ufficiale italiano che fornì tra l’altro l’indicazione di un prossimo attacco tedesco.
Finisce così, in pratica, l’esperienza del battaglione Mameli considerato come unità organica, anche se possiamo tracciare qualche nota successiva a riguardo dei suoi componenti. Il primo gruppo partecipò a un combattimento nei pressi di Kistanje il giorno 12 novembre. Poi una parte dei militari italiani, guidati da Giuseppe Maras, si mise in marcia verso la Bosnia, per unirsi a quei reparti che in seguito formeranno la brigata Italia. Degli altri componenti di questo gruppo, compreso il capitano Martinelli nessuna notizia successiva a quei giorni è stata finora accertata. Giuseppe Vuxani Note: (*) banda a.c “Obbrovazzo” - si riferisce alla m.v.a.c. - milizia volontaria anti comunista. Si tratta di formazioni comunemente chiamate “bande anti-comuniste” dopo l’imboscata del 26 maggio 1942 nella quale morì il Prefetto Vezio Orazi e la sua scorta, un maestro elementare di Kistanje, il dott. Vladimir Korolja, serbo-ortodosso, propose alle autorità militari la creazione di un corpo di volontari reclutati tra i contadini ortodossi. A questa proposta seguirono altre ben viste dal governatore della Dalmazia Bastianini. Il corpo articolato in 5 bande fu posto alle dipendenze del colonnello Eugenio Morrà. Inizialmente le bande erano costituite da serbo ortodossi ma in seguito anche da croati cattolici. Furono inquadrati separatamente per evitare attriti. Nel marzo 1943 furono inquadrate in battaglioni. Ogni banda costituita da tre o quattro plotoni aveva dai 90 ai 140 volontari. Complessivamente il corpo raggiunse 1200 uomini. Al comando ufficiali e sottufficiali italiani, in trentanove combattimenti ebbero circa 130 morti (tra i quali tre ufficiali e cinque sottufficiali).
Pubblicato sul periodico "Il Nastro Azzurro" n. 4 2007 |
|
||||||||||
piazza santa caterina, 4 65124 pescara federazioneprovincialepescara@istitutonastroazzurro.it |